Ma come si prepara la pace? Intanto domandarsi questo vuol dire pensare alla pace come un processo, come un concetto dinamico che necessita di progetti, di costruzione, di sostegno sostanziato in parole, azioni, comportamenti, atteggiamenti e scelte.
Facile? Non mi pare perché questo mi richiama alla mente la coerenza, la tenacia, la perseveranza, la resistenza. Valori che oggi sono difficili da individuare tutti insieme. Le cose in questo mondo contemporaneo sono complicate, hanno sempre dei rovesci importanti tanto quanto il verso a diritto, sono intricate in un groviglio di fili che le lega una all’altra.
Intanto si prepara la pace se non ci si occupa solo di opporsi alla guerra, ma si mettono insieme anche piccole azioni quotidiane che costruiscono il senso e il significato di un’educazione alla pace.
La polemica che sta infiammando la città sulla giornata del 27 aprile è controversa, soprattutto perché gli attori in gioco, dal mio punto di vista agiscono in buona fede e con cognizione di causa, con giuste ragioni, ognuno vedendo le cose da un’angolatura diversa.
La Fondazione Ciardelli potrebbe commemorare la perdita subita in mille altri modi, perché sceglie questo particolare modo? Perché sceglie di stare nel mezzo ad una bufera dai toni ideologici che colora di amaro il ricordo, la memoria di una vicenda già amara?
Il Comune come ente pubblico governato da una giunta di centro sinistra perché sceglie di patrocinare questo evento e a sua volta di posizionarsi proprio nel centro della bufera?
Le associazioni, i liberi cittadini dissentono, criticano una scelta organizzativa e basta?
Davvero basterebbe togliere di mezzo la partecipazione delle scolaresche in orario scolastico per spegnere i riflettori del conflitto?
E uso questa parola apposta, questo è un conflitto, si può gestire, si può attraversare, si può affrontare senza essere annientati. Il conflitto non è la guerra!
E ancora i genitori che sono militari essendo tali, per definizione si ispireranno a valori militari anche nelle relazioni, nella loro idea di mondo? Che rimando hanno costoro da tutta questa discussione?
La scuole e le insegnanti, i genitori e i bambini/e che sceglieranno di partecipare perché lo fanno? Hanno meno a cuore la pace degli altri? sono tutti più disattenti e superficiali?
Come educatrice di scuola dell’infanzia vivo il mio lavoro affrontando quotidianamente la complessità delle cose, il groviglio di fili che lega le cose in modo a volte controverso, affrontando quotidianamente il fatto che un mio dovere è essere consapevole dei miti, delle credenze, della filosofia che guida le mie scelte. Consapevolezza che mi deve portare obbligatoriamente ad un governo delle stesse, che deve portarmi a farne un uso sobrio e rispettoso per l’altro anche se è un bambino, per educare, sensibilizzare e non indottrinare.
Sicuramente per i bambini questa sarà un’esperienza importantissima, perché non si può nascondere la testa sotto la sabbia: la realtà della caserma e dei militari e della guerra esiste.
Se vuoi la pace prepara la pace… è assolutamente urgente cominciare a seminare, a spargere pillole di consapevolezza, di conoscenza, cominciare ad attrezzare i bambini di strumenti critici, di occhiali nuovi per leggere quello che li circonda, quello che accade. Se la scuola e la famiglia abdicano a questo compito, di che cosa si occuperanno? A chi lasceranno il compito di farlo?Anche se questa è utopia, io non voglio smettere di coltivarla e come persona, come mamma e come insegnante posso condividerla e lasciarla in
eredità.
Se vuoi la pace prepara la pace. Secondo me tutti gli attori implicati in questo conflitto, solo se lo faranno diventare generativo di una cultura di pace staranno in qualche modo preparando la pace, ognuno con il proprio contributo posizionato, partigiano, assolutamente non indifferente.
Parlo di conflitto generativo perché questa giornata porta una grande discussione, e poi…silenzio.
Se vuoi la pace prepara la pace, imporrebbe che a giornata passata la discussione restasse accesa, costruisse qualche scenario nuovo, qualche via ancora poco battuta per controbilanciare, per dimostrare, per alimentare, per sostenere, per non dimenticare, per mantenere alta l’attenzione sull’educazione alla pace, sul senso e il significato che può assumere nel quotidiano di ogni persona, di una famiglia, di una scuola, di un bambino, di una comunità, di una città. Per costruire concretamente una politica della pace, della cooperazione, della non violenza.
Facile? Non mi pare perché questo mi richiama alla mente la coerenza, la tenacia, la perseveranza, la resistenza. Valori che oggi sono difficili da individuare tutti insieme. Le cose in questo mondo contemporaneo sono complicate, hanno sempre dei rovesci importanti tanto quanto il verso a diritto, sono intricate in un groviglio di fili che le lega una all’altra.
Intanto si prepara la pace se non ci si occupa solo di opporsi alla guerra, ma si mettono insieme anche piccole azioni quotidiane che costruiscono il senso e il significato di un’educazione alla pace.
La polemica che sta infiammando la città sulla giornata del 27 aprile è controversa, soprattutto perché gli attori in gioco, dal mio punto di vista agiscono in buona fede e con cognizione di causa, con giuste ragioni, ognuno vedendo le cose da un’angolatura diversa.
La Fondazione Ciardelli potrebbe commemorare la perdita subita in mille altri modi, perché sceglie questo particolare modo? Perché sceglie di stare nel mezzo ad una bufera dai toni ideologici che colora di amaro il ricordo, la memoria di una vicenda già amara?
Il Comune come ente pubblico governato da una giunta di centro sinistra perché sceglie di patrocinare questo evento e a sua volta di posizionarsi proprio nel centro della bufera?
Le associazioni, i liberi cittadini dissentono, criticano una scelta organizzativa e basta?
Davvero basterebbe togliere di mezzo la partecipazione delle scolaresche in orario scolastico per spegnere i riflettori del conflitto?
E uso questa parola apposta, questo è un conflitto, si può gestire, si può attraversare, si può affrontare senza essere annientati. Il conflitto non è la guerra!
E ancora i genitori che sono militari essendo tali, per definizione si ispireranno a valori militari anche nelle relazioni, nella loro idea di mondo? Che rimando hanno costoro da tutta questa discussione?
La scuole e le insegnanti, i genitori e i bambini/e che sceglieranno di partecipare perché lo fanno? Hanno meno a cuore la pace degli altri? sono tutti più disattenti e superficiali?
Come educatrice di scuola dell’infanzia vivo il mio lavoro affrontando quotidianamente la complessità delle cose, il groviglio di fili che lega le cose in modo a volte controverso, affrontando quotidianamente il fatto che un mio dovere è essere consapevole dei miti, delle credenze, della filosofia che guida le mie scelte. Consapevolezza che mi deve portare obbligatoriamente ad un governo delle stesse, che deve portarmi a farne un uso sobrio e rispettoso per l’altro anche se è un bambino, per educare, sensibilizzare e non indottrinare.
Sicuramente per i bambini questa sarà un’esperienza importantissima, perché non si può nascondere la testa sotto la sabbia: la realtà della caserma e dei militari e della guerra esiste.
Se vuoi la pace prepara la pace… è assolutamente urgente cominciare a seminare, a spargere pillole di consapevolezza, di conoscenza, cominciare ad attrezzare i bambini di strumenti critici, di occhiali nuovi per leggere quello che li circonda, quello che accade. Se la scuola e la famiglia abdicano a questo compito, di che cosa si occuperanno? A chi lasceranno il compito di farlo?Anche se questa è utopia, io non voglio smettere di coltivarla e come persona, come mamma e come insegnante posso condividerla e lasciarla in
eredità.
Se vuoi la pace prepara la pace. Secondo me tutti gli attori implicati in questo conflitto, solo se lo faranno diventare generativo di una cultura di pace staranno in qualche modo preparando la pace, ognuno con il proprio contributo posizionato, partigiano, assolutamente non indifferente.
Parlo di conflitto generativo perché questa giornata porta una grande discussione, e poi…silenzio.
Se vuoi la pace prepara la pace, imporrebbe che a giornata passata la discussione restasse accesa, costruisse qualche scenario nuovo, qualche via ancora poco battuta per controbilanciare, per dimostrare, per alimentare, per sostenere, per non dimenticare, per mantenere alta l’attenzione sull’educazione alla pace, sul senso e il significato che può assumere nel quotidiano di ogni persona, di una famiglia, di una scuola, di un bambino, di una comunità, di una città. Per costruire concretamente una politica della pace, della cooperazione, della non violenza.
Mina Canarini, insegnante di scuola dell'infanzia
Ho letto la lettera della Sig.ra Ciardelli su Pisanotizie, premettendo che non manderò Caterina, la mia seconda figlia di quattro anni alla manifestazione, e che non condivido il Luogo in cui si svolge. Devo, voglio e sento di abbracciare simbolicamente la signora Ciardelli che ha vissuto uno dei dolori più grandi ed indescrivibili che esistano, la perdita di Nicola, e che ha saputo convertire questo indescrivibile dolore in un'azione sana, la costruzione di un centro per bambini in un paese che sappiamo tutti essere martoriato da 50 anni di dominazioni di varia natura!!, La mia scelta resta una scelta di coscienza, Caterina non conosce il significato delle parole morte e guerra, non si pone domande e così sarà finche la sua natura, quella di un bimbo che cresce, non comincerà a farne. Sono ben donde rispetto a chi sostiene di dover spiegare o dare risposte ai bambini riguardo a queste problematiche, però è vero abbassiamo i toni!!
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