Da qualche tempo si svolge in città un dibattito sull’iniziativa del Comune di Pisa evdell’Associazione Ciardelli Onlus che, dopo un percorso nelle classi delle scuole pisane che hanno aderito al Progetto, culmina il 27 aprile nella “Giornata della solidarietà” che si terrà in caserma.
La questione, che è stata ampiamente dibattuta, vede due parti che si contrappongono su molti punti tra i quali quello decisivo è, secondo me, la valutazione delle missioni dell’esercito italiano in varie parti del mondo, definite “missioni di pace” o “missioni umanitarie”. Una parte pensa sia possibile definirle così l’altra no. Su questo punto è difficile che le due parti possano andar oltre le loro posizioni e trovarne una comune.
La “Giornata della solidarietà”, che si terrà presso il centro di addestramento paracadutisti “Gamerra”, è più che altro una giornata della “cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà”, come viene definita nel disegno di legge di Di Stanislao quella che secondo me è l’effettiva posizione del Comune e dell’ Associazione Ciardelli Onlus, che appunto ritengono che sia pace e solidarietà che i militari italiani stiano portando con loro missioni.
Di conseguenza c’è chi pensa che la “Giornata della solidarietà” sia davvero una giornata che festeggia la solidarietà e chi pensa che non lo sia affatto.
Quest’ultima parte vorrebbe che la giornata avesse luogo in una sede diversa dalla caserma in quanto l’associazione tra il luogo-caserma e il concetto-solidarietà suona propagandistica, tesa a convincere i bambini e le bambine della legittimità di questa associazione. Chi pensa che l’esercito non svolga solo funzioni militari ma anche solidaristiche proprio per mezzo dei propri mezzi militari vede invece nella giornata una buona occasione per rinsaldare la connessione tra i due termini.
Io sostengo che a questo punto, nella fase finale del dibattito, vi sia una contraddizione a monte da parte del Comune di Pisa, dell’Associazione Ciardelli Onlus e delle classi che partecipano alla Giornata . Mi chiedo, infatti, se sia rispettata la logica dell’inclusione, ammesso che sia questa, come io ritengo, alla base del concetto di solidarietà.
Voglio dire che se questo dibattito non ci fosse stato ci saremmo semplicemente trovati di fronte al fatto che alcune classi delle scuole pisane (magari molto più numerose di ora) partecipavano a un Progetto proposto dal Comune di Pisa e dall’Associazione Ciardelli, e non sarebbe stato così importante se altre non avessero partecipato. Adesso, invece, la comunità scolastica (dei genitori, degli insegnanti, se vogliamo lasciar fuori i bambini e le bambine, I ragazzie e le ragazze) è divisa tra chi partecipa e chi no, tra chi ha sempre voluto aderire, chi non lo ha mai voluto e chi ha deciso di non aderire più. Mentre prima c’era chi partecipava e basta, ora, invece, all’interno delle varie scuole, ci sono classi che partecipano e classi che non partecipano; e, all’interno delle singole classi, ci sarà almeno un’80% che partecipa e un’altra certa percentuale di chi non partecipa, magari anche un intero 20%! E ci sarà chi tra i genitori ha autorizzato controvoglia i propri bambini e bambine, le proprie ragazze e i propri ragazzi a partecipare alle lezioni in preparazione della Giornata per non cadere in una nuova logica dell’esclusione. La decisione è stata democratica: se l’80% dice di sì si va, si dice in Comune.
Bene. Ma l’altro 20%? Se fosse stata la logica dell’inclusione a guidare gli organizzatori quel 20% non avrebbe dovuto essere tenuto in molto grande considerazione?
Facciamo un esempio (e gli esempi davvero abbondano). Per assurdo, poniamo che in una classe vi sia un ragazzo sordo (alla faccia del politically correct, ma il mio acutissimo bimbo sordo – faccio l’insegnante di sostegno – non si è mai riferito a sé stesso definendosi “non udente profondo”). L’insegnante di italiano vuol proporre ai ragazzi la visione di una serie di film. L’insegnante pensa che l’importante è portare avanti la maggioranza della classe e che la disabilità del suo unico alunno sordo sia percentualmente insignificante. Come lei la pensa anche il resto della classe, la schiacciante maggioranza. Democraticamente si decide (poniamo che non esista la libertà d’insegnamento) di seguire il percorso formativo.
Benchè democratico, potremmo definire “solidale” la scelta dell’insegnante? Sicuramente no,
perché improntata all’esclusione, guidata dalla logica dell’esclusione. Cosa avrebbe potuto fare l’insegnante? La risposta è ovvia: proporre una versione del film fornita di sottotitoli. Prendiamo il caso inverso, cioè che l’insegnante non voglia proporre dei film perché c’è un ragazzo sordo, anche se l’intera classe (il 100%!) sia interessata al progetto. Anche in questo caso l’insegnante, secondo me, sbaglierebbe perché priverebbe la classe di un’esperienza interessante e coinvolgente. Cosa avrebbero da perdere l’insegnante, la classe, il ragazzo sordo dalla visione di un film con i sottotitoli?
Torniamo al nostro caso, quello della Giornata della solidarietà. Che cosa avrebbe avuto da perdere il Comune organizzando la giornata alla Leopolda o al Palazzetto dello sport o in qualsiasi altro luogo civile abbastanza ampio da contenere (potenzialmente, s’intende) l’intera scolaresca pisana. Questo luogo civile assolverebbe per i ragazzi che non parteciperanno alla Giornata in caserma alla funzione inclusiva dei sottotitoli del film nel nostro esempio.
In nome di quale pensiero di fondo scegliere la logica dell’esclusione e non quella dell’inclusione? Se è per le cifre, forse il 100% della scolaresca pisana avrebbe partecipato in gran festa ad un’iniziativa condivisa e il Progetto avrebbe dimostrato che è possibile la solidarietà ancora prima di decidere se questa debba essere associata al luogo caserma.
Inclusione è solidarietà, esclusione è qualche altra cosa. E il Progetto ha escluso una parte dei genitori, delle associazioni, degli insegnanti, degli studenti dalla partecipazione.
Anche se la Giornata della solidarietà riuscisse rimarrebbe l’amaro in bocca per non aver colto l’occasione di generare solidarietà a monte della Giornata, a scuola, e aver invece generato processi di contrapposizione ed esclusione pur avendo a portata di mano una soluzione condivisa. In nome di cosa?
Stavolta (e, ripeto, stavolta) la solidarietà in caserma ha generato esclusione a scuola. Ne valeva la pena? O si vuol chiamare l’esclusione differenza? Nella differenza si è liberi di scegliere mentre nell’esclusione si è obbligati a non fare una cosa quando invece ci sarebbe stata la possibilità di farla insieme.
Alessandro Levantesi
..questa è un opinione di un bambino di 5-6 anni che è stato con i suoi compagni e le maestre ,alla caserma Gamerra : " io da grande voglio fare il militare nella caserma di Pisa dei militari,perchè spero che i bambini della scuola verranno in gita ...e mi trovano me "GRANDE" che li accompagno a vedere tutte le cose e siccome sarò grande gli potrò dare le spiegazioni e aiutarli a fare tutto: il percorso della scalata delle rocce, vedere la mongolfiera, e con la cartellina in mano gli leggo meglio tutte le spiegazioni,sono grande e so leggere! ( Nota: il bambino si è disegnato vestito in tuta mimetica e con la cartellina che gli accompagnatori avevano quel giorno...).
RispondiEliminaNon voglio aggiungere volutamente altro..tanto si è detto...ma il commento visto con gli occhi di un bambino sì....e mi pare che nel suo futuro ci sia solo un aspetto positivo e di buoni propositi verso altri BAMBINI!
Maestra Rossella Ceccarelli-
che ha condiviso l'esperienza con la collega Manuela Spinella
Scuola infanzia Montessori
Mie care
RispondiEliminaavete appena descritto qual'è il vero obiettivo della Giornata della solidarietà: far credere ai bambini che il vero lavoro dei militari sia essere una specie di "supermaestri". Voi sapete bene che il vero lavoro dei militari è un altro, al bambino, con questa giornata, avete appena fornito una nozione fuorviante e mistificatoria.