E' passato ormai più di un mese. Tempo per rimettere in ordine le idee, per rielaborare la giornata vissuta, per poter dire: io quel giorno c'ero.
C'ero quel 27 Aprile perché sono convinta che per contestare qualcosa prima ci sia bisogno di vederlo con i proprio occhi ed averne così un giudizio il più possibile personale capace di riassumere i proprio valori e la propria idea del mondo, e non solo di seguire una linea tracciata da altri.
E così ho fatto.
La mia impressione generica, oggi come ieri, è che senza il contorno giocoso della “giornata speciale”, senza la montatura della “gita fuori porta” alternativa alla noiosa giornata scolastica, con molta probabilità gli stessi giochi e le stesse attività sarebbero state “snobbate” dai ragazzi.
Nulla di eccezionale se non il fatto che molte associazioni o gruppi fossero assieme nello stesso luogo (la caserma appunto), e se non che il motivo stesso della giornata era stato presentato ed è divenuto il “gioco”.
Ho visto classi di bambini di 4-5 anni susseguirsi come oggetti in una catena di montaggio con animatrici che sembravano più dovere eseguire un compito che provare un reale piacere nell'incontro con i bambini, novelli vigili del fuoco provare l'ebrezza della discesa dal palo elogiati per la loro assenza di paura, attività di orienteering organizzate in modo strettamente militare, con numeri al posto dei nomi per i ragazzi che volevano partecipare e con ordini impartiti con chiarezza e autorità..
La percezione ancora una volta è stata in realtà di scarsa o scarsissima attenzione pedagogica ed educativa per i ragazzi e quando c'era, con spiegazioni orali e video, oserei dire piuttosto noiosa e per niente interattiva. Direi che a ben guardare il tutto da una giusta distanza sembrava di stare ad un enorme Mc'Donalds dove la velocità di ricambio dei clienti era paragonabile alla rapidità con cui venivano a susseguirsi i gruppi di scolaresche da “istruire”.
La giornata è culminata nel momento del lancio dei “nostri ragazzi”, come ormai siamo stati educati a chiamare militari e soldati che difendono in territori internazionali la “nostra libertà”. Quattro parà si sono lanciati dall'elicottero bardati di tutto punto con bandiere e stendardi della Folgore, dell'associazione Ciardelli e con la bandiera italiana e sono stati accolti nel gaudio generale sulla piazza centrale della caserma Gamerra. Tutti a naso all'insù aspettando le prodezze dei parà: atterrare su una piattaforma appositamente sistemata al centro della piazza per poter scoppiare i palloncini gialli che la ricoprivano.
Applausi, risate, fotografie, e alla fine il saluto dell'elicottero, che sfiorando le nostre teste ha lasciato tutti con il sorriso dopo aver partecipato a cotanta dimostrazione di abilità.
Devo dire che pur non essendo madre, credo che sarei molto più serena nel pensare che mio figlio provi una legittima paura per un elicottero militare, sentimento molto più naturale del vederlo come un simpatico gioco.
Quegli stessi elicotteri temo passino sopra altre teste e non certamente con lo stesso scopo “gioioso”.
La contestazione che mi sono sentita di fare alla discussione-tavola rotonda sull'art. 11 e l'art. 52 della Costituzione che si svolgeva alla Gamerra e a cui ho partecipato come cittadina italiana, prima che come studentessa di Scienze per la Pace o contestatrice è stata sui seguenti punti:
- proposta di svolgere l'iniziativa in una sede destinata ad attività civili, come il parco San Rossore, con la partecipazione delle realtà cittadine che si occupano di solidarietà (proposta già avanzata dal gruppo di coordinamento “No bimbi in caserma”),
- distanza dalle parole pronunciate sulle figure dei militari come quelle di pacifisti, a seguito della recente morte di Vittorio credo che ciò sia stata una profonda offesa a chi spende parte della sua vita all'interposizione nonviolenta, senza armi se non il proprio corpo a fare da scudo,
- la perplessità sulla mancanza di proposta alternativa che proponesse prima della giornata uno spirito critico nei bambini e degli adolescenti a cui era rivolta la giornata.
Ho insistito molto su questo punto anche con l'assessore Chiofalo nella lunga conversazione che abbiamo avuto a seguito del mio intervento.
Quello che più mi preoccupa infatti come educatrice e come nonviolenta è esattamente la poca capacità di creare situazioni in cui negli educandi venga permesso e anzi stimolato il dibattito e la critica; la discussione e la contestazione anche accesa fanno parte e anzi sono la base della formazione di cittadini consapevoli e liberi da obbedienza cieca alle istituzioni.
A quei bambini e a quegli adolescenti sono stati fatti vedere anche film, testimonianze, fotografie delle vittime della guerra nei loro paesi? Gli stessi scenari internazionali in cui si trovano a lavorare i nostri militari, i nostri soldati, in missioni che di “pacifico” non hanno proprio nulla?
Hanno potuto quei ragazzi e quei bambini incontrare e parlare con qualcuno di quei “fortunati” bambini che l'associazione Ciardelli con “La casa dei bambini di Nicola” ha curato in Italia e chiedere cosa ne pensano loro dell'intervento di pace italiano?
Potrebbe essere ritenuta anche questa attività “educazione alla pace consapevole”?
Miriam Bet,
cittadina libera pensatrice italiana.
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